Lo studio

Tstudio

Tstudio è uno studio di architettura fondato nel 1992 da Guendalina Salimei, Giancarlo Fantilli, Roberto Grio, Mariaugusta Mainiero, Giovanni Pogliani e Renato Quadarella e diretto da Guendalina.
Ciascuno di loro è altamente qualificato in vari campi dell’architettura, research planning, progettazione paesaggistica, restauro, interior design e grafica multimediale.
Nel 2008 è stato aperto un ufficio ad Hanoi, Vietnam, come parte di Ideas Ltd, per offrire i propri servizi al mercato vietnamita delle infrastrutture pubbliche.

Tstudio ha il proprio team di architetti, ingegneri, esperti di economia e tecnici che lavorano sia con metodi tradizionali che con moderne tecniche di progettazione. Lo staff è basato a Roma e svolge un’attività altamente specializzata in diversi campi dell’architettura e dell’ingegneria. Un’ampia rete di professionisti esperti assicura che ogni richiesta venga soddisfatta dal personale più qualificato nel proprio campo. I principali progetti architettonici di T-Studio riguardano: complessi scolastici, uffici, residenze, sale conferenze, mercati, sale congressi e rigenerazione urbana, porti di trasporto e stazioni ferroviarie.

Lo studio

Fondatori

Guendalina Salimei | ARCHITECT; Giancarlo Fantilli | LANDSCAPE ARCHITECT;
Roberto Grio |
ARCHITECT; Mariaugusta Mainiero | ARCHITECT; 
Giovanni Pogliani |
ARCHITECT; Renato Quadarella | ARCHITECT

Ricerca

Michele Astone | ENGINEER; Anna Riciputo | ARCHITECT;
Nadia Bakhtafrouz |
ARCHITECT; Sara Pezzoli | LANDSCAPE ARCHITECT

Amministrazione

Francesca De Marchi | ADMINISTRATION; Maria Teresa Albisinni | TENDER OFFICE

Team

Massimiliano Celani | ARCHITECT

Sara Ceccoli | ARCHITECT

Sergio Cherubini | ARCHITECT

iMan Enayati | ARCHITECT

Flaminia Zanzi | ARCHITECT

Lorenzo Di Carlo | ARCHITECT AND BIM SPECIALIST

Michelangelo Calcagni | ARCHITECT

Federica Colanzi | ARCHITECT

Marco D’Andrea | ARCHITECT

Sonia Nusca | ARCHITECT

Domenico De Lucia | ARCHITECT AND VISUAL ARTIST

Alberto Runco | ARCHITECT

Michela Giotto | ARCHITECT

Una rete collaborativa che ispira la nostra visione e l'eccellenza nel design.

Oltre al nostro team e al personale dedicato, il nostro lavoro è arricchito dal prezioso contributo di un gruppo eterogeneo di collaboratori. Queste persone, che apportano una ricchezza di competenze, conoscenze e creatività da varie discipline, sono parte integrante dell’ambiente dinamico del nostro studio. Le loro prospettive uniche, le competenze specialistiche e le idee lungimiranti valorizzano i nostri progetti, spingendo i confini dell’architettura e del design.

 

Che si tratti di partnership strategiche, consulenze continuative o coinvolgimento specifico in un progetto, questi collaboratori svolgono un ruolo fondamentale nel dare forma alla nostra visione e nel guidare l’innovazione. Insieme, formiamo una rete vibrante e interconnessa che eleva la qualità, l’impatto e la portata del nostro lavoro.

Filosofia

Il tessuto urbano, le città, gli spazi collettivi sono costantemente in evoluzione; la società mostra sempre esigenze nuove e inaspettate. L’opera dell’architetto diventa un lavoro di ricerca, di indagine multidisciplinare nel tentativo di interpretare l’evoluzione del tempo. Tstudio, in questo senso, opera nel campo dell’architettura per sviluppare progetti per realtà in continua trasformazione, sempre più complesse, in cui si intrecciano dimensioni e scale diverse: dal territorio alla città, all’ambiente, al luogo.
Contesti che non sono solo fisici ma anche sociali ed economici, contesti storici, fortemente radicati nel presente e proiettati in un futuro incerto.

La ricerca degli ultimi anni ha affrontato i seguenti temi, che sono le sfaccettature di un tentativo di integrare paesaggio, urbanistica e architettura passando dalla grande alla piccola scala e viceversa, si tratta di esperimenti che lavorano attraverso il sistema del dubbio, citando Holl, con un’architettura di profonde connessioni con il sito, la cultura, il clima e che preferiscono procedere senza certezze preimpostate:

URBAN GEOGRAPHIES, SENSITIVE LIMITS, LANDFORM, LANDMARK, LIVING MACHINES, REUSE – STRATIFICATION.

Il tema delle geografie urbane indaga invece il tentativo – a scala territoriale – di dare suggerimenti e proporre linee guida progettuali attraverso il rapporto con i segni del territorio ma anche attraverso la reinterpretazione di tracce storiche, della tradizione e quindi dell’identità dei luoghi. Queste letture divengono materiale di progetti ready made, pronte ad essere manipolate, sempre nell’ottica di una fusione tra urbanistica, paesaggio ed architettura, anche in chiave sociale. In questo senso, il ruolo formativo dei dati geografici, della morfologia del paesaggio urbano e naturale, degli strati archeologici, dei tracciati topografici profondi, risulta come uno stimolante approccio al progetto.

All’anonimato dell’architettura dell’International style e al formalismo dell’architettura nostalgica, molto apprezzati oggi in buona parte del mondo, questo approccio contrappone un’architettura legata al contesto paesaggistico e culturale, suggerendo soluzioni tipologiche e tecnologiche avanzate ma attente all’evoluzione delle architetture locali, capaci di interpretare a pieno le specificità straordinarie del contesto.

Il tema confini sensibili lavora sulle aree di frontiera, sugli spazi filtro, che rappresentano opportunità di sperimentazione e interessanti occasioni per riqualificare parti di città e di territorio. Tali spazi diventano occasione di ricerca per nuove strategie progettuali capaci di superare l’originaria esclusione, promuovendo nuovi spazi d’incontro e nuove centralità, opportunità di riqualificazione e valorizzazione della città. Lavorare sui confini, sulle frontiere, sulle “aree vuote”, ci pare oggi il tema più affascinante e produttivo dell’architettura urbana.

In simili “paesaggi ibridi”, la contaminazione di forme e linguaggi non concede spazio a ricerche; l’identità che possiamo ricercare non è certo nella purezza dei segni e delle forme ma nella capacità di captare e configurare le differenze, di instaurare sintonie e in altri di progettare esaltare dissonanze. E se è vero che lo spazio tra le cose è anche più importante, spesso, delle cose stesse; se è vero che il logos è quello che più conta, ecco che emerge come fondamentale il tema del confine, di quella terra di nessuno che, per essere di nessuno, può diventare terra di tutti, cemento o semplicemente vuoto identificante tra le differenti entità che compongono la città.

Il tema landform indaga la possibilità dell’architettura di organizzare il vuoto, integrandolo nel paesaggio naturale e antropico: un’architettura di suolo, che ricerca una relazione profonda con le pieghe e le conformazioni del sito. I progetti nascono, infatti, dal suolo, dalle sue pieghe, dai suoi segni, dalle sue stratificazioni, dalle sue cavità e rilievi. L’architettura così non si rivela immediatamente, non si impone come icona assoluta, ma si rivela poco alla volta, si lascia scoprire nell’avvicinamento, diventa frammento di un processo più ampio.

Si dissolve e s’integra nel paesaggio, non si impone più come volume che occupa spazio ma piuttosto come evento che organizza il vuoto, assorbendo le regole sottese dalla trama del paesaggio e del terreno. L’architettura lavora con la terra, inventa nuovi paesaggi tra artificio e natura, “gioca” con le conformazioni geografiche reali o reinterpretate.

Il tema landmark è strettamente connesso al tema del “labirinto verticale”. I “landmark” sono segni verticali capaci di stabilire relazioni a distanza con fatti urbani o paesistici. L’elemento “faro” è in grado di traguardare il territorio attraverso procedure di reinterpretazione del sistema di relazioni a grande scala, con uno sguardo all’archetipo della torre, svelando l’interessante opportunità di lavorare sul tema della densificazione. L’elemento a torre, che nasce per ragioni difensive e di controllo del territorio, incarna l’obiettivo a divenire sistema di riferimento e di orientamento.

Il “labirinto verticale” intende invece esplorare la complessità degli strati e delle sovrapposizioni, promuovendo un più intenso rapporto tra il sopra e il sotto, tra l’aria, la superficie e il sotterraneo. Stratificazione come possibilità di operare su più livelli, sovrapponendo segni e significati diversi per realizzare luoghi complessi spazialmente e funzionalmente; in tale prospettiva, l’architettura moltiplica la sua spazialità, mentre il sistema urbano si reinventa divenendo “città dentro la città e città sopra la città”.

Il tema di living machines si incentra sulla ricerca di nuove strategie di vita, con particolare attenzione alla mixitè, la flessibilità e l’organizzazione degli spazi pubblici e privati. Durante gli anni ’70 stati sviluppati alcuni esperimenti interessanti sul tema dell’abitare collettivo: la vicinanza, il sistema delle relazioni pubbliche e semi-pubbliche, il sistema degli spazi condivisi e delle forme di autogestione. L’interesse in tale contesto è nello sviluppare queste tematiche alla luce delle nuove esigenze emerse negli ultimi anni, che riattualizzano i temi allora individuati e proposti.
Infatti, al contrario della monofunzioanlità, queste macchine dell’abitare provano ad interpretare nuove strategie dell’abitare, puntando sulla flessibilità, sull’organizzazione degli spazi comuni, sull’uso del colore e sull’adattabilità dell’abitare alle diverse e mutevoli esigenze emerse nel tempo che pongono il problema del riadattamento, del riuso e della valorizzazione dell’esistente.

Il tema del riuso denominato stratificazione è l’occasione di sovrapporre idealmente più storie, più letture e tracce del tempo che sono particolarmente care alla memoria collettiva. Il tema affronta le questioni della memoria, della rovina e della trasformazione per parti, in chiave nuova. Sottrarre, addizionare, tagliare, slittare, coprire e avvolgere, sono operazioni previste per il riuso di una architettura esistente che necessita di energia, luce e colore per essere restituita a vita nuova.

Quando invece fossimo in presenza di un bene eccezionale come quello di un’architettura non finita del ‘700 (è il caso del museo Foligno), l’intervento è attuato per micro-iniezioni, interventi di “agopuntura”, al fine di restaurare il bene e dotarlo al tempo stesso di una nuova esistenza, anche non prevista.